Gran Premio del Bahrain: quando i muri parlano

08/05/2013
Barbar - Foto 1

Nelle scorse settimane i muri di Barbar, una cittadina nel piccolo regno del Bahrain, hanno fatto il giro del mondo. Non tutti sanno dove si trova esattamente il Bahrain, figurarsi immaginare dov’è Barbar, un villaggio a maggioranza sciita nel nord del Paese. Eppure mentre fotografie dei graffiti dipinti sui muri di questa cittadina sono state pubblicate sulle maggiori testate internazionali in occasione del Gran Premio di Formula 1 che si è svolto a Manama il 21 aprile scorso, vignette critiche nei confronti di questa piccola monarchia petrolifera nel mezzo del Golfo Persico sono apparse sulle testate locali.

Questa gara automobilistica è ormai diventata parte di un conflitto più ampio tra la maggioranza della popolazione sciita e il governo sunnita sostenuto dall’Arabia Saudita e dagli Stati Uniti. Nelle settimane precedenti al Gran Premio graffiti di ogni genere contro la corsa automobilistica hanno ricoperto i muri di interi quartieri del Paese, prima di essere nascosti sotto una mano di vernice e cancellati dalle autorità.

A catturare i giornali di tutto il mondo è stata l’originalità e qualità artistica dei murales di Ahrar Barbar (i liberi di Barbar). Stencil, illustrazioni colorate, vignette e slogan che hanno  promosso il boicottaggio di quella che è stata ribattezzata come la “gara del sangue”.

Tutto è incominciato più di due anni fa, nel febbraio 2011, con le prime manifestazioni pro-democrazia scoppiate in Bahrain sulla scia della cosiddetta primavera araba. L’opposizione per lo più sciita è scesa da allora in piazza contro la corruzione, la discriminazione e il potere onnipotente nelle mani del re Hamad bin Issa al-Khalifa che governa il Bahrain dalla morte di suo padre nel 1999.

Due anni fa la gara di Formula 1 fu cancellata a causa delle proteste durante le quali – secondo una commissione di inchiesta indipendente istituita dalla famiglia regnante – morirono 46 persone, cifra contestata naturalmente dall’opposizione che parla invece di almeno un centinaio di vittime (su una popolazione totale di poco più di un milione di abitanti).

Ospitare una delle gare del Gran Premio di Formula Uno è uno dei vanti del Bahrain, al punto che un disegno del circuito di Sakhir compare sulla banconota da mezzo dinaro. Ma gli attivisti ritengono che continuare a far svolgere il Gran Premio nel Paese sia una mancanza di rispetto per tutte le vittime della rivolta, inclusi coloro che lavoravano per la gara stessa, licenziati per aver partecipato alle manifestazioni di piazza o addirittura torturati all’interno degli impianti del circuito stesso.

E così attraverso i graffiti, per esempio, i “liberi di Barbar” hanno levato un appello agli organizzatori e ai piloti a non gareggiare “sul sangue dei martiri”. O ancora un disegno a stencil ricorda gli attivisti per i diritti umani rinchiusi in carcere.

Ma il Gran Premio viene visto anche come il modo in cui la corona prova a dare lustro a livello internazionale al Paese, la maschera di cui si serve per salvaguardare la propria reputazione e coprire gli abusi e i crimini perpetrati contro i diritti umani, oltre che come una fonte di introiti cospicui destinati a una ristrettissima cerchia di persone. In un altro graffito di Barbar il re appare in una monoposto mentre, radioso, investe e uccide i manifestanti.

I disegni di protesta contro il Gran Premio non sono comparsi solo sulle pareti di Barabar, ma anche sui siti di informazione di opposizione, in primis su Mirat Bahrain. Da qui si sono diffusi attraverso i social network in maniera virale. La semplificazione cui le vignette politiche fanno solitamente ricorso per veicolare il proprio messaggio, nel caso delle vignette bahreinite apparse nei giorni del Gran Premio si è focalizzata attorno a due poli fondamentali: il re e il patron della Formula 1, Ecclestone.

Il vignettista Mahmud Haidar, celebre per il suo stile che privilegia disegni muti, senza didascalia, ha rappresentato il monarca impegnato a promuovere il Gran Premio senza curarsi -anzi, nascondendoli al di là della bandiera della Formula 1- delle richieste di libertà e dei richiami dei detenuti. 

Mentre sull’altro bersaglio eccellente, Ecclestone, si sono concentrate le vignette fortemente critiche di ‘Ali Bazzaz. Disegnatore, scrittore e giornalista, Bazzaz ha lasciato nel 2011 il suo lavoro al quotidiano al-Ayyam di proprietà dell’attuale consigliere per l’informazione del re. Con gli oltre 24 mila “followers” che ha su Twitter, le sue vignette politiche continuano ad essere tra le più seguite e condivise anche fuori dal Bahrain. Ecclestone che sul podio – in compagnia del re e di un pilota – solleva la sua coppa personale: un teschio cavo pieno di banconote; oppure Ecclestone che con il sangue dei morti scrive un gigantesco “F1”, o ancora Ecclestone che, mentre alla guida di una monoposto passa su un corpo, dice: “Chi vuole parlare delle violazioni dei diritti umani deve andare in altri Paesi e in altri posti” (Foto 7-8-9). In quest’ultimo caso, non si tratta di un’esagerazione a fini umoristici: a Bazzaz è bastato riportare le dichiarazioni alla stampa del multimilionario inglese.