La diffusione del fact checking sui media arabi

23/06/2014
di donato fact checking

L’idea che il mondo mediatico arabo sia costantemente controllato e monitorato da governi più o meno intransigenti in materia di libertà di espressione e da una censura più o meno severa nel permettere la pubblicazione di questo o quel contenuto si è oramai tradotta in un dato di fatto. A più riprese blogger, giornalisti, donne ed uomini che hanno provato a fare informazione indipendente, hanno visto abbattersi, non solo virtualmente, la censura e la repressione sul loro capo finendo in carcere per le loro opinioni o venendo messi a tacere con minacce ed intimidazioni. L’archetipo del controllo dei media è stato finora strettamente legato a una valenza negativa, repressiva, castrante, corroborato peraltro da sentenze giudiziarie e fatti di cronaca inequivocabili. Eppure a monitorare i media ed in particolare ad analizzare la loro credibilità non ci sono soltanto le tanto temute mukhabarat, i servizi segreti.  

Sempre più spesso infatti gruppi di giovani giornalisti arabi danno vita vere e proprie organizzazioni per il controllo della qualità dei media tese ad analizzare la credibilità e la veridicità delle informazioni fornite sul web. Si tratta nella maggior parte dei casi di iniziative indipendenti che mirano a valutare l’affidabilità dei media nonché l’autenticità delle  notizie riportate. Il principio di fondo che anima queste iniziative sempre più frequenti è legato al “fact checking”, ossia la verifica dei fatti, delle fonti, delle notizie, in modo di liberare il mondo dell’informazione, in particolare quello on-line, da un’opera di disinformazione sempre più pressante dove immagini e dichiarazioni vengono manipolate in funzione della narrativa proposta.

Un esempio lampante di questa necessaria verifica delle fonti è giunta in occasioni delle elezioni presidenziali egiziane tenutesi lo scorso gennaio dove alcuni media locali hanno utilizzato immagini del 2012 per raccontare di un’affluenza alle urne che invece era inferiore, hanno mostrato incidenti (mai avvenuti) per giustificare il clima di repressione, hanno distorto sostanzialmente la realtà. Oppure, con riferimento al contesto palestinese degli ultimi anni, durante un’intervista rilasciata ad Al-Quds, alcuni giornalisti locali hanno riconosciuto come l’ambiente mediatico nazionale abbia subito una polarizzazione crescente divenendo non del tutto credibile e imparziale in seguito alla divisione fra Hamas e Fatah nel 2007.

Guardando, ancora, allo specifico caso egiziano molti sono gli analisti che ritengono che i nuovi media siano divenuti uno spazio dove la presenza di esponenti del vecchio regime legato al deposto presidente Hosni Mubarak o comunque soggetti interessati al processo di restaurazione e interessati a dare una diversa interpretazione del “processo rivoluzionario”, sia in netta crescita. Nuovi spazi hanno permesso nuove forme di espressione anche per quei media tradizionali che, screditati nella loro forma cartacea o comunque non ritenuti più affidabili attraverso i canali classici, si sono reinventati on-line o sui social. Nuovi spazi che però hanno ampliato inevitabilmente le fonti e le risorse disponibili determinando un problema di credibilità ed affidabilità tanto per chi si affaccia adesso sul web, volendosi accreditare come fonti attendibili, tanto per quegli storici attori mediatici che attraverso il web provano a riciclare e rilanciare la propria narrativa. 

 

Saheh Khabarak 

Nato un per valutare la correttezza delle informazioni che circolano sul web (con particolare riferimento al contesto nazionale), Saheh Khabarak ha base ad Amman dove ha forgiato il suo motto “vogliamo indipendenza, integrità, imparzialità”. Con 83mila like su Facebook ed un sito internet indipendente (al momento tuttavia non funzionante, Saheh Khabarak supervisiona le notizie false e tendenziose che attraversano il web e per tramite dello stesso si propagano senza controllo. L’iniziativa è nata da un gruppo di studenti giordani ed in particolare da Fadi al-Howeidi, giovane laureato in scienze politiche. Interessante notare come  Al-Howeidi ed i suoi colleghi abbiano anche avviato una rubrica che, riprendendo assunti del “The General Book of Ignorance”, illustra e chiarisce alcune elementari nozioni la cui errata versione è ormai diventata di uso comune.

MCE Watch

Decisamente più ristretta l’azione di MCE Watch che vanta un sito (stavolta funzionante, ma non aggiornatissimo) ed una pagina Facebook (ferma al Novembre 2013) per monitorare le informazioni che transitano sui media nazionali egiziani. Nato nel 2012, MCE watch ha istituito un vero e proprio osservatorio sui mezzi di informazione egiziani rivelando quante notizie errate fossero riportate dai sui quotidiani cartacei e sui loro corrispettivi siti web. Quando funzionava ancora a pieno regime ha provato più volte a sbugiardare gli organi di informazione, specialmente ufficiali. Nel Settembre 2013 ha persino fornito un elenco di quanti inesattezze mensili venissero trascritte dalle redazioni nazionali: 37 da Al-Fajr, 29 da Al-Youm al-Sabi’, 16 da Al-Misr al-Youm, 13 da Al-Ahram, 5 da Al-Shourouk e così via. Ad oggi il suo seguito è relativamente limitato, con poco meno di 20mila like su Facebook.

Da Begad

Attivo e molto aggiornato è il sito (così come la pagina Facebook) di Da Begad. Obiettivo dell’azione di questa “iniziativa per la verifica delle informazioni” è molto semplice: “Find out if what you are posting on FB is real or fake…”, ossia valutare se ciò che stai pubblicando su Facebook è reale o falso. Così come è del resto molto semplice la modalità di comunicazione di ciò che appunto Da Begad ritiene vero e ciò che invece ritiene falso. Due immagini messe l’una al fianco dell’altra: con a sinistra quella autentica (con tanto di articolo breve di spiegazione) e a destra quella contraffatta (dove ne viene illustrato l’utilizzo irregolare). L’azione di Da Begad è particolarmente concentrata sull’Egitto (il nuovo presidente Abdel Fattah al-Sisi è preso particolarmente di mira), ma allarga la propria azione di controllo a tutto il mondo arabo e islamico con specifica attenzione anche ai fatti siriani. Più di una volta è stata mostrata la reale origine di molte fotografie spacciate invece per massacri compiuti dal regime o dalle forze di opposizione, in molte occasioni è stata denunciata la manipolazione di fatti e dichiarazioni che venivano manomessi con lo scopo di esasperare il dibattito online. La sua produzione è principalmente in lingua araba, anche se esiste una versione (meno aggiornata)  in inglese.

Mapture 

Manipolare una foto, datarla con orari diversi, decontestualizzarla è particolarmente semplice, soprattutto sui social network. Per questo motivo è nata una App (per ora solo per Apple) che si chiama Mapture e che ha lo scopo di “fornire credibilità alle fotografie di tutto il mondo”. Il processo è decisamente elementare. Chi scatta la foto comunica automaticamente la propria posizione tramite sistema GPS, il sistema verifica fonte ed autenticità dell’immagine e solo successivamente la stessa viene pubblicata. Si possono segnalare incidenti d’auto, scontri a fuoco, “qualsiasi violenza o violazione dei diritti umani”, furti, “condizioni meteorologiche estreme”. L’applicazione è particolarmente diffusa nel mondo arabo, ma anche in Europa ed altrove nel mondo essendo disponibile in lingua inglese. Il principio di fondo è quello di fornire immagini credibili, ma allo stesso tempo anonime, prive di qualsiasi commento, in modo tale che l’utente che le osservi possa formare una propria indipendente opinione in merito a ciò che ha dinanzi senza essere condizionato dalla fonte di provenienza. In tal modo inoltre Mapture permette in tempo reale di confutare informazioni inesatte che segnalino eventi che in realtà non sono in corso in quell’esatto luogo ed istante.

 

Il dibattito sulla credibilità

Il problema della credibilità dei media arabi durante i processi di transizione che stanno interessando moltissimi Paesi della sponda Sud del Mediterraneo così come del Vicino Oriente ha inoltre scatenato un vero e proprio dibattito fra esperti del settore.

Secondo il professor Musa Barahouma dell’American University di Dubai, i cosiddetti nuovi media mancano di criteri di valutazione reali e di un codice etico definito. Inoltre, se è vero che, come affermato sulle pagine del Financial Times da Ramez Shehadi, Fady Kassalty  e Danny Karam, i social media possono aiutare i governi a colmare parte di quel gap di credibilità nei confronti della popolazione (ed è dunque in tal senso da leggersi un sempre maggiore interesse da parte del mondo istituzionale verso queste forme di informazione ed espressione) è altrettanto vero che il loro utilizzo va costantemente tenuto sotto controllo, paradossalmente, proprio dalla stessa popolazione per evitare facili manipolazioni contenutistiche. Tale riflessione risulta particolarmente valida soprattutto se consideriamo come l’interesse “ufficiale” abbia per lunghi anni censurato ed imbavagliato il mondo mediatico arabo deformando la notizia in base ai propri esclusivi desiderata.

In accordo con i dati forniti dal Pew Research Center, ben l’86% degli utenti internet egiziani utilizza i social network per avere notizie in merito alla situazione politica del loro Paese, anche se va  comunque sottolineato come l’utilizzo di internet, di Facebook e di Twitter per ottenere notizie non sia ancora del tutto dominante nel mondo arabo. Almeno non secondo i dati rilevati dalla Northwestern University in Qatar che in un sondaggio condotto in otto Paesi arabi (Libano, Tunisia, Egitto, Arabia Saudita, Bahrein, Qatar, Giordania ed Emirati Arabi Uniti) ha mostrato come la televisione resti in media la prima fonte di informazione per l’83% degli intervistati, seguito dal 72% che invece fa affidamento su fonti primarie provenienti da conoscenti, parenti ed amici ed infine un 65% che fa affidamento al web.

 

Un web che rischia costantemente di perdere credibilità

Uno studio molto accurato è stato in tal senso messo in opera da Mohammad-Ali Abbasi e Huan Liu per la Arizona State University, i quali danno inizio alla loro ricerca determinando una  premessa basata sulla logica: utilizzare informazioni credibili è un prerequisito per un’ analisi accurata dell’utilizzo dei dati dei social media. Dati non credibili porteranno ad imprecisioni nell’analisi, nel processo di decision-making, nelle previsioni.

Tutto si basa dunque sulla credibilità. Ed in tal senso si gioca ad esempio la battaglia sui “Twitter Bot”, ossia su quei sistemi che su Twitter attribuiscono falsi numeri di followers e dati non realistici ai vari “cinguettii” fornendo un seguito ed una visibilità decisamente superiori ad altri account modificandone in maniera decisiva la visibilità. Secondo Emanuele Colombo questi sistemi sono stati recentemente utilizzati per mettere sotto silenzio gli oppositori di Bashar al-Asad.

In conclusione, pur senza un diretto riferimento all’esperienza del mondo arabo, l’affermazione riportata in uno studio a cura di Miriam J. Metzger e Andrew J. Flanagin dal titolo “Digital Media, Youth, and Credibility”  sembra sostanzialmente riassumere al meglio la questione, lasciando del tutto aperto e non esaurito il dibattito in merito ai nuovi media, alla loro credibilità e affidabilità.

Più che in qualsiasi altro momento della storia umana, Internet e l’esplosione dei contenuti multimediali hanno reso disponibili più informazioni provenienti da più fonti ed indirizzate a più persone. Ciò comporta un numero infinito di opportunità di apprendimento, connessione sociale e di intrattenimento. Ma allo stesso tempo, l’origine di informazioni, la loro qualità, e la loro veridicità sono spesso di difficile valutazione.

 

Photo Credits: Saheh Khabarak – via Facebook.