L’Esodo del cinema verso la censura

25/02/2015
Exodus

Faraoni, piramidi, profeti e fughe nel deserto, ecco gli ingredienti del filmExodus – Dei e Re” del regista Ridley Scott.

Dopo la bagarre fra gli Stati Uniti e la Corea del Nord sul film “The Interview”, anche “Exodus” incappa nella morsa della censura.

Il Marocco è stato il primo paese a prendere questa decisione anche se il Moroccan Cinema Centre (CCM), gestito dallo stato, aveva precedentemente stabilito che il film potesse essere trasmesso sugli schermi del regno. A seguire la mossa sono stati Egitto e Emirati Arabi Uniti. Le motivazioni alla base sono da rintracciarsi nella storia che lega le tre grandi religioni monoteiste: il Cristianesimo, l’Ebraismo e l’Islam. Mosè è considerato profeta da tutte e tre le religioni, i problemi sono però legati alle inesattezze storiche commesse dal regista. Secondo i tre paesi arabi queste non sono perdonabili.

Egitto

Quale paese, se non l’Egitto, poteva essere più coinvolto nella questione? Una delle principali attrazioni turistiche è l’immenso patrimonio artistico lasciato in eredità dagli antichi egizi. Eredità di cui si fanno tanto vanto i “nuovi” abitanti, ma che subisce quotidianamente l’incuria degli stessi. Il ministro della cultura, Gaber Asfour, si è comunque sentito in dovere di contestare la scelta del regista di far passare gli ebrei come costruttori delle Piramidi (queste sarebbero precedentemente datate, 2540 a.C., cioè 500 anni prima rispetto all’avvento della stirpe abramitica). L’onta subita è stata tale da etichettare presto il film come sionista.

L’altra imprecisione storica è legata alla causa non divina, all’interno del film, della divisione delle acque che permise al popolo ebraico di attraversare il Mar Rosso, un banalissimo terremoto secondo Scott, non un miracolo divino.

La decisione di censurare il film è stata presa da due commissioni: la prima composta dalla Central Administration of Censorship con a capo il direttore del General Administration of Censoring Foreign Films, la seconda formata dal ministro stesso e capeggiata dal professor Mohamed Afifi, capo del Supreme Council for Culture, includendo come membri anche il Capo della Censura, Abdel Sattar Fathy, e due professori di archeologia egiziana. Nel comunicato stampa congiunto si legge: “[…] saremmo stati lieti di consentire la proiezione di questo film, al fine di rispettare il principio della libertà di espressione e di creatività. Tuttavia, questo può portare a diffondere idee sbagliate veicolate dal film stesso a una generazione che riceve la maggior parte del suo sapere e della cultura attraverso tali film, i quali frantumano la base della storia egiziana. Pertanto, la commissione raccomanda il rifiuto del film, non permettendo così di essere proiettato nelle sale egiziane”.

Khaled Fahmy, professore di storia all’American University del Cairo, nel suo articolo per Al-Monitor, centra un argomento fondamentale: la libertà di espressione non sarebbe tirata in ballo se il film non fosse controverso o con contenuti che potrebbero sembrare confusi e poco corretti. Fahmy sostiene che una vera coscienza critica si costruisce anche attraverso la ricezione di messaggi che potrebbero essere, a prima vista, errati. E dovrebbe essere proprio l’eccellenza di questo processo di pensiero ad esserne il garante, cioè il ministro della cultura.

Il critico cinematografico Tareq al-Shinnawi considera la decisione contro ogni libertà di pensiero, sostenendo che il 70% dei film egiziani e stranieri distribuiti nei cinema del paese contiene inesattezze storiche. Alcune voci sostengono che la scelta del ministro sia stata presa per evitare scontri con Al-Azhar, la massima autorità religiosa nel mondo sunnita, e che quindi il governo abbia solo usato a pretesto la motivazione delle imprecisioni storiche. Ciò ovviamente è legato al dettame islamico dell’aniconismo che si traduce nel divieto di rappresentare o personificare l’immagine di Dio e della famiglia del Profeta Muhammad. A marzo Al-Azhar, massima autorità dell’Islam sunnita, aveva censurato il film “Noah”, altra produzione biblica holliwoodiana, per aver rappresentato un profeta. Una fatwa del 1926 stabilisce infatti il divieto di ritrarre i profeti. La contraddizione è però dietro l’angolo data la scelta, dieci anni fa, di proiettare il film la “Passione di Cristo” del regista Mel Gibson (Gesù è ugualmente considerato profeta dalla religione islamica). Il ministro ha tenuto a precisare che “il divieto non ha nulla a che fare con motivi religiosi”. Abdul Sattar Fathi, capo della commissione per la censura, ha dichiarato ad Al-Monitor che Al-Azhar non è intervenuta sulla questione. Stessa cosa è stata confermata da Abbas Shuman, un rappresentante di Al-Azhar.

Emirati Arabi Uniti

Il National Media Council ha deciso di censurare il film perché “mostra Mosè non come un profeta, ma come un semplice predicatore della pace”. Il direttore Juma Obaid al-Leem ha dichiarato ad Al-Monitor che l’intera storia contraddice i libri sacri. “[…] ci sono molti errori, non solo riguardanti l’Islam, ma anche per le altre religioni”. Ha riportato il giornale emiratino Gulf News intervistando il direttore.

Marocco

Secondo il regno nord africano, l’errore commesso dal regista è di aver rappresentato Dio personificato in un bambino che offre la rivelazione a Mosè. È notizia recente quella del Marocco che ha infine deciso di approvare il film dopo aver chiesto a Fox Studios e al regista Ridley Scott di tagliare tutti i passaggi della pellicola ritenuti offensivi.

Fra accuse di razzismo (il film è stato criticato per la scelta di aver relegato gli attori di colore ai ruoli più marginali come quelli degli schiavi e di aver invece affidato ad attori bianchi i ruoli mediorientali. Da qui l’hashtag #BoycottExodusMovie), strafalcioni storici e contravvenzioni di dettami religiosi, il film “Exodus – Dei e Re” rimane comunque in ottima posizione alle classifiche dei box-office, avendo guadagnato $24.1 milioni nel primo fine settimana nelle sale statunitensi. 

D’altronde, non è altro che l’effetto della doppia arma della censura, croce e delizia dei paesi mediorientali, che rende inevitabilmente più affascinante quello che viene proibito.