Dall’Egitto alla Siria: l’ultima stagione delle soap arabe

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“Guardare soap opera durante il mese di Ramadan è haram, una pratica illecita che va contro la legge islamica.” Con queste parole, citate da Arab news il 17 luglio, Ali al-Hakmi, membro del consiglio superiore degli ulema in Arabia Saudita, ha condannato la profana tradizione che accompagna e scandisce il mese sacro del digiuno islamico: guardare le musalsalat, soap-opera in trenta puntate trasmesse quotidianamente durante Ramadan.

Dal principio dello scorso decennio, anno del boom della televisione satellitare in lingua araba – oggi si contano oltre seicento canali free-to-air trasmessi in tutto il mondo arabo e verso la diaspora – la commercializzazione di Ramadan è un fenomeno in continua ascesa.

È durante il mese sacro per l’Islam che si concentra oltre il 50 percento della spesa pubblicitaria sui media arabi: cibo, prodotti per la casa, analcolici e, negli ultimi anni, operatori telefonici e compagnie hi-tech fanno a gara per sponsorizzare i programmi televisivi che le emittenti satellitari trasmettono dopo l’iftar, il pasto di rottura del digiuno. Nella dieta televisiva di Ramadan le musalsalat occupano un posto speciale: ne sono diventate il prodotto di punta per eccellenza, sia per il formato dei trenta episodi che si presta alla durata di Ramadan, sia per la loro capacità di ritrarre personaggi, storie, situazioni locali.  

A parte il boom delle soap-opera turche, esploso negli ultimi anni dopo l’incredibile successo di Nour, feuilletton doppiato in dialetto siriano, e che solo di recente ha interessato Ramadan – qualche anno fa sarebbe stato impensabile programmare nel mese sacro queste musalsalat, molto più rilassate di quelle arabe nel riprodurre sullo schermo argomenti come l’alcol e il sesso – le musalsalat sono al cento per cento scritte e prodotte nella regione. Per anni sono state la via privilegiata attraverso cui i regimi arabi indicavano le modalità e i confini della discussione pubblica di argomenti tabù come l`estremismo religioso, i rapporti fra le minoranze, il terrorismo, le questioni di genere. Questi non potevano  trovare spazio nelle news o nei programmi di attualità, ma nell’universo mitigato della fiction venivano proposti alla cittadinanza per “educarla” a pensare in un certo modo la religione, il sesso, la patria.

Questa impostazione non sembra essere del tutto scomparsa nella stagione del “post” rivoluzioni arabe, sebbene siano stati destituiti molti di quei regimi – primo fra tutti l’Egitto dell’ex presidente Hosni Mubarak-  che orchestravano la propaganda mediatica, facendola sottilmente passare anche dentro le trame e i personaggi dei melodrammi televisivi.. Un esempio per tutti è l’egiziano Al-Da`ya (Il predicatore), storia di un predicatore televisivo – interpretato dall’attore Hani Salama che ha un passato con il cineasta Youssef Chahine – di vedute ultra-conservatrici che lo spingono a bollare la musica e la recitazione come pratiche haram. Un attacco diretto contro la proliferazione di canali satellitari religiosi ultraconservatori, esplosi negli ultimi anni in Egitto e nella regione. Non solo, Al-Da`ya è anche una critica aperta ai Fratelli Musulmani da parte di un’élite di produttori di fiction che trovava nel presunto laicismo dello Stato una sintonia con i precedenti regimi e che, nell’anno segnato dalla presidenza di Mohammed Morsi – il presidente deposto dai militari il 3 luglio –  si è sentita minacciata di perdere la  capacità di affrontare questi temi liberamente.

In realtà, in un Egitto dominato da una classe di professionisti dei media imbevuta dell’ideologia modernista e “laica” di nasseriana memoria – e profondamente anti-Fratellanza – la critica all’Islam politico non è una novità di questo Ramadan 2013, ma una pratica che si inscrive nella tradizione delle musalsalat egiziane. Sin dagli anni ’80, la celebre soap opera Al-Aylah (La Famiglia) aveva affrontato il tema dell’estremismo religioso, del terrorismo e degli attacchi al regime “laico” portati avanti dalla Fratellanza in Egitto. Tre anni fa, la televisione di stato egiziana trasmetteva, proprio a Ramadan, la hit Al-Gama’a (Il gruppo), la storia del fondatore dei Fratelli Musulmani, Hassan al-Banna.

Questo Ramadan conferma dunque una certa tendenza delle soap egiziane nell’attaccare l’Islam politico.  Le musalsalat celebrative della rivoluzione del 2011 sembrano scomparse dagli schermi. Sono invece presenti le commedie e i melodrammi, prodotti per cui gli egiziani eccellono nel mondo arabo e che  tradizionalmente abitano i prime time delle reti satellitari panarabe più seguite, come Dubai Tn e MBC, sebbene il numero totale delle produzioni egiziane di Ramadan sia crollato dalle 65 musalsalat dello scorso anno a meno di 30 in questo 2013.

La sorpresa, almeno apparentemente, viene dalla produzione di fiction siriana, seconda soltanto all’Egitto in termini di quantità nella regione araba. Questa non pare essere drasticamente crollata come volevano le previsioni di molti analisti. L’agenzia di stato siriana, Sana, ha stabilito a 22 il numero ufficiale di produzioni per questa stagione. Molte delle musalsalat siriane di quest’anno sono state costrette a “emigrare”, per ragioni di sicurezza, o anche a causa della “defezione” di registi siriani un tempo vicini all’entourage del presidente Bashar al-Asad, in Libano o nel Golfo. Basta pensare a Hammam Shami (Hammam damasceno), una soap opera ambientata nella Damasco degli anni ‘50 ricostruita interamente in studio ad Abu Dhabi.

Alcuni dei più famosi registi siriani, come Najdat Anzour e Layth Hajjo, sono però rimasti a girare in casa, e presentano due produzioni di Ramadan, rispettivamente Taht Sama`a al-Watan (Sotto il cielo della nazione) e Sa na`ud ba`ada qalil (Torniamo fra poco). Sebbene con registri e toni diversi, queste affrontano gli avvenimenti siriani degli ultimi due anni in Siria. Molta della produzione di fiction siriana di quest’anno, nella tradizione realista che contraddistingue da sempre le musalsalat siriane, racconta del drammatico conflitto in corso, scaturito dalla rivolta contro il presidente al-Asad.

Wilada min al khasira, popolare fiction di Ramadan siriana trasmessa da Abu Dhabi Tv, apre la sua terza stagione con una scena emblematica. Un quartiere in sciopero – le ragioni dello sciopero non vengono esplicitate – assediato dai mukhabarat, i servizi segreti siriani, spiega le ragioni della protesta e cerca il dialogo con lo Stato. Un ministro pare ascoltare e promettere indulgenza contro la violenza e l’ingerenza dei servizi segreti nelle vite dei cittadini. Ma una volta rientrati nel quartiere, gli abitanti scoprono che gli uomini dell’intelligence sono ancora lì pronti a prelevare i sospetti agitatori della protesta e a farli sparire nelle stanze di tortura gestire dai mukhabarat. Il ministro non ha mantenuto la promessa, o forse non ha potuto mantenerla. Il messaggio è chiaro: la soluzione politica viene forse cercata in apparenza, ma non viene mai messa in atto e lo stato sembra non poter fare nulla di fronte allo strapotere dell’intelligence.

Qualche giorno prima della messa in onda di Wilada min al-khasira, Samer Radwan, il suo autore, veniva arrestato dai servizi segreti al confine fra il Libano e la Siria, mentre faceva tranquillamente ritorno a Damasco dopo le riprese della soap. Le motivazioni del gesto non sono state mai chiarite, in un surreale e drammatico parallelismo fra vita e fiction.