Dabiq: come l’Isil rivendica la schiavitù delle donne yazide

27/01/2015
Yazidi 1

Tra gli aspetti della strategia mediatica dell’Isil vi è la continua estrinsecazione della particolare visione dell’Islam che caratterizza il gruppo. La rivista web Dabiq è un elemento centrale nella propaganda dell’Isil, redatta in lingua inglese in quanto si propone di diffondere il più possibile la visione del gruppo. Dabiq, nel suo quarto numero affronta la questione della schiavitù, secondo un’interpretazione “letteralista”, a-storica e come vedremo, a tratti escatologica, arrivando a giustificarla, promuoverla, propagandarla come segno della diffusione dell’Islam e dell’avvicinarsi dell’ “Ora”, del Giorno del Giudizio.

L’Isil rivendica infatti la schiavitù delle donne yazide, nell’articolo significativamente titolato: “The revival of slavery. Before the Hour”, “Il ritorno della schiavitù. Prima dell’Ora” [del Giudizio]. L’articolo sin dall’inizio racconta della presa della zona di Sinjar, intervallando la narrazione con hadith del Profeta e versetti del Corano, precisando che prima di conquistare l’area, i giurisperiti dell’organizzazione avevano studiato approfonditamente la questione della religione degli yazidi, che viene riassunta dagli jihadisti in una visione parodica, in cui gli yazidi sono rappresentati semplicemente come adoratori di Satana: “Hanno reso Iblīs – che è il più grande dei tāghūt, (degli oppressori) – il simbolo dell’illuminazione e della devozione! Quale miscredenza più arrogante può oltrepassare questa?” L’articolo prosegue cercando di spiegare perché le donne yazide meritano di essere ridotte in schiavitù secondo la particolare interpretazione della Shariah dell’Isil: “Di conseguenza, lo Stato islamico ha trattato con questo gruppo, nel modo in cui la maggior parte dei fuqaha, dei giurisperiti, ha indicato che dovrebbero essere considerati politeisti, mushrikīn. A differenza degli ebrei e cristiani, non c’era spazio infatti per il pagamento della tassa di protezione, la jizyah. Inoltre, le loro donne possono essere schiavizzate a differenza delle apostati femmine che la maggioranza dei fuqaha invece sostiene non poter essere schiavizzate, e a cui può essere dato solo un ultimatum tra pentirsi o affrontare la spada. Dopo la cattura, le donne yazide e i bambini sono stati divisi, in base alla Shariah, tra i combattenti dello Stato Islamico che hanno partecipato alle operazioni di Sinjar (…)”.

In realtà, come dovrebbe essere noto a tutti i musulmani e agli studiosi dell’Islam, secondo l’ortodossia sunnita la schiavitù fu eliminata dal Profeta Muhammad tramite una metodologia gradualista, per cui non venne proibita “tout court” ma venne continuamente scoraggiata fino al punto da renderla illecita. Tutti i maggiori giuristi musulmani concordano nel ritenere la schiavitù totalmente in contraddizione con l’Islam e i paesi musulmani l’hanno abolita da tempo, inclusa l’arretrata Arabia Saudita. Nel campo del pensiero islamico, e anche nelle più rigide correnti dell’Islam politico, la schiavitù è unanimemente condannata e proibita, ad esempio, uno dei più noti sapienti islamici al mondo del XX secolo, l’indiano-pakistano Abu ala al-Mawdudi – accusato tra l’altro di radicalismo religioso-politico e vicino al “padre spirituale” del jihadismo, l’egiziano Sayyd Qutb – così scriveva a proposito della schiavitù: “L’Islam ha chiaramente e categoricamente vietato la pratica primitiva di catturare un uomo libero, a fare di lui uno schiavo o di vendere lo schiavo”.

Nel settembre del 2014, un primo gruppo di centoventi Sapienti musulmani, tra i quali il Mufti d’Egitto, il Mufti di Gerusalemme e della Palestina, il Presidente del Cair – la principale organizzazione islamica in USA – hanno diffuso una lettera aperta di 18 pagine, in cui si trattano approfonditamente e strettamente su basi religiose, gli errori e i crimini dell’Isil. Tra questi spicca l’argomento della schiavitù: “La reintroduzione della schiavitù è proibita nell’Islam. Essa è stata abolita per consenso universale”. Le firme alla lettera aperta stanno continuando ad arrivare da tutte le principali istituzioni e organizzazioni islamiche nazionali e sovranazionali, nonché da tutti i principali Sapienti riconosciuti nella comunità islamica mondiale. Nell’articolo apparso su Dabiq però si intende parlare di schiavitù anche dal punto di vista escatologico. Infatti, a circa metà articolo, viene affrontato il tema messianico della “al-Malhamah al-Kubrā” (lett: la più grande battaglia prima dell’Ora) affermando: “è interessante notare che la schiavitù è stata menzionata come uno dei segni dell’Ora nonché una delle cause di al-Malhamah al-Kubrā”, cui segue l’hadith, in cui si sostiene che il Profeta disse che uno dei segni dell’Ora è che “la schiava darà alla luce il suo padrone”. Da qui vengono espresse differenti interpretazioni, sebbene si giunga poi alla conclusione che il modo più corretto di leggere questo hadith sia quello della promessa di un’espansione tale dello “Stato Islamico” da arrivare a conquistare il mondo. Ed infatti l’articolo si conclude così: “conquistare la vostra Roma, rompere le vostre croci, e schiavizzare le vostre donne, con il permesso di Allah, l’Eccelso. Questa è la Sua promessa a noi; Egli è glorificato ed Egli non manca alla Sua promessa. Se non raggiungeremo noi quel tempo, poi i nostri figli e nipoti sapranno raggiungerlo, e venderanno i vostri figli come schiavi al mercato degli schiavi”.

Viene ripreso un tema costante del discorso dell’Isil: la conquista di Roma, simbolo della Cristianità, un argomento che Al-Baghdadi aveva ripreso con forza sin dalla suo discorso di insediamento come Califfo, proclamato dalla moschea di Mosul, e rappresentato anche nella eloquente copertina di Dabiq, recante una foto di San Pietro dominata dalla bandiera nera dell’Isil.