Al-Jazeera e i paesi del Golfo sulla giostra del calcio

20/05/2015
qtr sport

A dispetto dei generosi cachet che possono trovarsi in campionati come la Qatar Stars League e la UAE Arabian Gulf League (UFL), il livello tecnico del calcio made in Arabia rimane scarso. E più il gioco è mediocre, meno valgono i diritti tv. Basti pensare che i primi tre campionati del mondo arabo (UFL – Saudi Pro League ed Egyptian Premier League) raccolgono in diritti tv meno di 20 milioni di dollari l’anno: quasi un decimo di quanto spendono Al-Jazeera e l’emiratina ADMC Sport per trasmettere nella regione il campionato inglese e la Champions League (circa 180 milioni di dollari). Secondo gli analisti del Dubai Press Club, al calcio arabo manca proprio quel rapporto simbiotico coi diritti televisivi, linfa vitale dei campionati che contano.

Peccato, perché secondo l’istituto di sondaggi Ipsos, gli arabi guardano innanzitutto il calcio locale. Ma il modello della pay-tv non sembra essere molto amato dalle parti della penisola arabica, tanto che dal 2011 re Abdullah ha soffiato con un decreto ad Al-Jazeera Sport la Saudi Pro League, all’epoca visibile soltanto con abbonamento, per rimetterla in chiaro su Saudi Tv.

 

Nel supermercato del calcio europeo

Ma se l’industria del calcio locale fa ancora fatica a decollare, gli affari di paesi come Qatar e Emirati Arabi nel calcio europeo hanno già preso il volo. Con una serie di investimenti in Premier League, Serie A, Ligue 1 (francese) e Liga (spagnola), le due petromonarchie si sono messe in bella mostra sul palcoscenico internazionale e hanno dato la possibilità a vari player (Al-Jazeera Sport in testa) di penetrare in nuovi mercati e talvolta “rivendere” agli europei il loro stesso calcio.

In questo senso la Francia è la principale “terra di conquista” del Qatar. Che Parigi abbia già da diversi anni aperto le porte ai petrodollari dell’emirato è cosa nota. E nemmeno stupisce che Michel Platini, nella sua veste di presidente UEFA, si sia molto prodigato per sponsorizzare Doha come città dei Mondiali 2022. Quando la stampa internazionale lo ha messo nell’angolo per aver cenato all’Eliseo nel novembre 2010 in compagnia di Sarkozy e dell’ex primo ministro qatarense Jassim Jaber al-Thani, a pochi giorni dalla cruciale assegnazione del mondiale 2022, Platini ha risposto che si trattava di una coincidenza. Coincidenza o no, secondo molti osservatori sul piatto di quella cena c’erano anche altre portate: prima fra tutte l’acquisto del Paris Saint Germain da parte della Qatar Sports Investments, squadra del cuore del presidente Sarkozy. A margine, la nomina del figlio di Platini ai vertici della Burrda Sport, società di abbigliamento sportivo di proprietà della stessa Qatar Sports Investments.

A partire dal 2011, grazie alle sue casse rimpinguate di petrodollari, il club parigino ha rastrellato dai campionati europei i giocatori più forti del mondo. Un anno dopo Al-Jazeera ha lanciato in Francia i canali sportivi BeIN Sports France, che hanno soffiato al francese Canal+ diversi slot di diritti tv della Ligue 1, proponendo al pubblico d’oltralpe abbonamenti dai prezzi competitivi (circa 12 euro al mese). In pochi anni, BeIN Sports ha drenato dal bacino di Canal+ circa 200 mila abbonati, oltre che diversi producer, giornalisti e top manager. Grazie al suo ingresso nel mercato francese BeIN Sports ha fatto salire il valore dei diritti tv della Ligue 1 per il quadriennio 2016-2020 a circa 750 milioni di euro: il 20% in più rispetto al quadriennio precedente. Una vera manna per tutto il calcio francese di prima categoria.

BeIN Sports è diventato il nuovo brand dell’intrattenimento sportivo di Al-Jazeera anche oltre i confini francesi. Nel 2012 BeIN ha lanciato due nuovi canali negli Stati Uniti, uno dei quali in lingua spagnola. Una scelta strategica che include anche l’acquisizione dei diritti per trasmette le partite della Liga spagnola, dove il Qatar ha messo a segno un’altra operazione milionaria. Dal 2010, infatti, al centro delle maglie del Barcellona è scomparso il logo dell’Unicef per fare posto alla scritta “Qatar Foundation”, l’ente no profit diretto dalla potente Moza bint al-Missned, madre dell’attuale emiro. Un’ottima mossa per la promozione di Doha 2022 e del brand “Qatar”, costata 125 milioni di sterline. Un toccasana per il club catalano, all’epoca sommerso dai debiti.

Anche l’Arabia Saudita è entrata nel calcio europeo col gigante delle telecomunicazioni STC, dal 2008 sponsor del Manchester United. La STC ha lavorato all’espansione del brand della squadra inglese con lo sviluppo di specifiche applicazioni e attraverso l’“esportazione” nei paesi del Golfo della Manchester United Tv. Secondo Richard Arnold, il managing director del Manchester United, la sua squadra conta in Medio Oriente 4 milioni di tifosi, che adesso potranno seguirla anche attraverso il canale ufficiale.

Tuttavia la Premier League inglese, secondo miglior campionato al mondo dopo quello spagnolo, è decisamente nelle mani degli Emirati Arabi Uniti che hanno portato avanti una serie di sponsorizzazioni record. Nel 2010 la Etihad airways, compagnia di bandiera degli emirati, è diventata sponsor ufficiale del Manchester City con un accordo decennale da 400 milioni di sterline. È nel suo genere l’operazione più costosa della storia del calcio. Ancora più grande dell’accordo da 100 milioni di sterline firmato nel 2004 dalla Emirates con l’Arsenal: cifra record per il calcio inglese di quegli anni.

Anche grazie all’influenza degli Emirati sulla Premier League la Abu Dhabi Media Company è riuscita per diversi anni a soffiare ad Al-Jazeera Sport i diritti tv del torneo inglese, diventando di fatto il suo unico competitor regionale nell’intrattenimento sportivo. Una battaglia persa però nel 2013 quando Al-Jazeera, nella rinnovata veste di BeIN Sports, ha fatto da asso pigliatutto, accaparrandosi tutto il calcio internazionale che conta.

 

Mancanza di campioni locali

Purtroppo i paesi del Golfo sono tanto bravi a esportare il loro brand quanto scarsi a produrre stelle del calcio. Se si eccettua il portiere omanita Ali Habsi che gioca nel Brighton, squadra della Serie B inglese, sul campo da gioco i paesi del Golfo sono anni luce indietro rispetto al calcio europeo. Anche sul versante delle “importazioni” di atleti internazionali i campionati qatarensi ed emiratini attraggono per lo più tecnici e giocatori blasonati vicini alla pensione, allettati più dalle laute parcelle che dal prestigio e la voglia di vincere. Si tratta di un gap che il Qatar in primis ha urgenza di colmare, proprio in vista dei mondiali 2022, dove la nazionale del piccolo emirato diventerà anche specchio della potenza economica e del progresso tecnologico del paese. Non a caso tra Doha e Abu Dhabi si stanno aprendo vivai del calcio diretti dai top club europei come Manchester City, Real Madrid e Inter. L’obiettivo è quello di innalzare gli standard tecnici del calcio locale per trasformarlo in un prodotto di livello internazionale. Ma come ha detto Marco Monti, trainer dalla scuola calcio dell’Inter ad Abu Dhabi: “Al di là del livello tecnico i giovani del Golfo devono cambiare la loro attitudine mentale: vivere in belle case non è abbastanza per diventare bravi calciatori. Per diventare campioni i soldi non bastano”.